CHI SIAMO...

 

 

 

Alessandro Hoban

Mi chiamo Hoban Alessandro, sono di Gorizia, classe ’69 e posso dire di essere nato e cresciuto sull’alveo del mio fiume: l’Isonzo. Sono felicemente sposato e padre di una bellissima bambina. La mia esperienza si può riassumere in varie tappe. La prima riguarda il mio avvicinamento alla pesca, da bambino (molto piccolo) quando non esisteva distinzione tra tipo di tecnica e tipo di pesce.

Semplicemente uscivo con mio padre o mio nonno e pescavo come facevano loro. La mia dotazione era, paragonata ad oggi, veramente molto scarsa e risultava composta da una canna in fibra di vetro, un vecchio mulinello mitchell, una manciata di piombi, ami,qualche cucchiaino (perlopiù mepps aglia long). Tutta attrezzatura sottratta il più delle volte di nascosto da quella dei grandi. E tutto ciò che usavo come esca erano “prodotti di stagione” come lombrichi, alborelle e mais. Quando andava bene potevo attingere a qualche larva del miele dai favi che mio padre portava a casa. Erano tempi in cui il bombardamento pubblicitario di tecnologia miracolosa che costituisce oggi la linfa di ogni rivista specializzata era agli albori. Erano altri tempi, eppure si pescava comunque e anche bene. Ricordo che rimanevo a lungo incantato nell’ammirare quei piccoli pesciolini di balsa che facevano bella mostra di se nei bancone del negozio di pesca. Era come se mi fossi trovato davanti ad un enorme contenitore di caramelle, di quelli che esistevano ancora negli empori cittadini. Piccoli giocattolini colorati inarrivabili per le mie tasche. I modelli erano pochi, per lo più  argentati, dorati ma qualche volta compariva qualche piccola imitazione di trota iridea. Ma io aspettavo. Aspettavo che mio padre ne comprasse qualcuno e non appena ne avevo l’occasione li facevo magicamente teletrasportare dalle tasche del suo gilet in quelle del mio. Ovviamente non avevo la padronanza per saperli usare e se li montavo in canna sapevo che li avrei persi sicuramente dopo qualche lancio. Ma a me bastava comunque averne uno o due, assieme ad una manciata di cucchiaini, per sentirmi un pescatore attrezzato. Il tutto era riposto casualmente e saldamente aggrovigliato in una delle tasche del mio giubbotto senza alcuna scatola porta-artificiali. Il figlio seguiva le orme del padre che presa la licenza, la canna sempre montata, un pugno di cucchiaini in tasca scendeva sul Fiume. E anche così lui prendeva. A lui, come a mio devo tutta la passione che nutro per l’acqua le sue creature. Da anni tengo un diario in cui annoto ogni particolare delle mie uscite a pesca per mantenere vivi i ricordi dei luoghi visitati e delle persone incontrate. Quando sono sulla riva del Fiume  un particolare può ricordarmi che su quel masso ho passato una mattina di una domenica d’inverno con mio padre oppure che un albero era lì già da prima dei miei primi passi sulle ghiaie dell’alveo.

Questa memoria dei luoghi è il costante richiamo del Fiume, una voce dolce che ti rassicura e allo stesso tempo deve essere rassicurata. Il nostro ‘’bisogno’’ del Fiume ( e parlo per tutti quelli che la pensano come me) va pari passo con il ‘’bisogno’’che il Fiume ha di noi, di pensieri gentili, di essere capito nella sua bellezza ma anche nella sua fragilità. Allo stesso tempo ascoltare questo legame intimo significa onorare tutte quelle persone che sono state così importanti e che ora non mi  possono più accompagnare nelle mie esplorazioni, anche se mi piace sempre pensare che siano sempre lì con me osservando, rimproverando, ispirando, gioendo delle cose belle e magari anche patendo con me il freddo, la pioggia o l’afa dei pomeriggi d’estate. Se i ricordi non sono cambiati non posso dire lo stesso per l’approccio. Non c’è più la necessità della cattura ad ogni costo, quella stessa necessità che mi lasciava spesso una certa insoddisfazione.

Adesso, anche se l’uscita si risolve in un classico e totale “cappotto ”, torno a casa comunque contento per aver passato una giornata all’aria aperta. Sono passato dalle gare alle trote fino alla pesca a mosca ma oggi pratico quasi esclusivamente lo spinning alla marmorata con qualche piacevole eccezione (quando il tempo me lo permette) divisa tra il bass e la spigola. Tutto nell’ottica di un catch&release pressoché totale. La mia tecnica preferita è lo spoonning con gli ondulanti per le marmorate e adoro il binomio esche topwater/mud-waters quando vado a bass. E vedo nell’autocostruzione, che esercito da qualche anno, il normale completamento del percorso in questa disciplina.

Volendo riassumere il concetto della tecnica per come la vedo io in base alle esperienze maturate mi sento di dire che lo spinning, per me,  è solo una questione di punti di vista: quella mia e quella del pesce. Tutto il resto è solo acqua.

Buona p…ermanenza sul sito a tutti voi

Alessandro Hoban (spoonboy)

 

 

 

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