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testo e foto di
Loris Ferrari e Dr. Armando Piccinini - dicembre 2010 Voglio
raccontarvi la bella avventura di pesca che mi è capitata un pomeriggio di
questa primavera mentre eravamo a pesca in Taro, assieme all'amico Giorgio. La
decisione della battuta alle cheppie è stata presa all'improvviso, dopo che ad
entrambi erano saltati alcuni appuntamenti di lavoro,
la certezza di sapere che le cheppie stanno risalendo uno dei nostri
fiumi preferiti, ci ha misteriosamente catapultato alle tre del pomeriggio in
una piana del Taro in provincia di Parma... ripensandoci a mente fredda posso
dire che è proprio vero che a volte il destino è a dir poco strano ma a volte
anche piacevole nei suoi risvolti, ma presto scoprirete anche voi il perché. Arriviamo,
scendiamo dalla macchina ed espletiamo la consueta e fisiologica "marcatura
del territorio" un rito propiziatorio che dopo oltre un ora di autostrada
è quantomeno consigliato e soprattutto ci consentirà poi di pescare per alcune
ore senza interruzioni. Giorgio per l'occasione ha finalmente fatto attaccare al giubbotto le due patch e posa contento davanti al mio obiettivo Ci
rallegriamo di essere la sola presenza umana nel piazzale sterrato, dove di
solito in questo periodo ci sono parcheggiate parecchie auto, ma allo stesso
tempo ne temiamo le possibili cause e conseguenze. La ragione dell'assenza di
concorrenti bipedi potrebbe essere che i gruppi di
cheppie sono già passati da quel punto del fiume e si sa che quando le catture
diminuiscono, i pescatori auto e bagagli al seguito si spostano più a monte per
avere nuovamente buone possibilità di rincontrarle... ma in ogni caso, prima di
andarcene da quel posto che ogni anno ci regala catture a ripetizione, bisogna
prima che lo verifichiamo di persona. Troppe volte il fiume è frequentato da
pescatori non eccelsi per non definire mediocri che praticano questa pesca
saltuariamente e catturano solamente quando le cheppie sono in movimento durante
le fasi di risalita. Noi
ormai non ci facciamo condizionare dai loro risultati e preferiamo sempre
verificare effettuando lanci nei vari strati d'acqua, dalla piana alla corrente
più impetuosa, utilizzando ovviamente le esche giuste e lanciandole in ogni
direzione e con ogni modalità di recupero prima di stabilire che davvero il
pesce non è più presente in quel contesto. Il
fiume causa le recenti piogge è stato sporco fino a pochi giorni prima, anche
l'amico Marco domenica non ha preso nulla; vedendola dall'alto del ponte l'acqua
ora sembra pescabile ed abbastanza chiara... ma l'assenza di una qualsiasi auto
di pescatori ci mette in apprensione... potrebbe essere che le cheppie sono più
in alto... o altre cose imponderabili che nella pesca sono sempre in
agguato...non facciamo in tempo a scambiarci queste battute che ecco arrivare un
altra auto, ed allora ci sbrighiamo a velocizzare la vestizione e scaricare le
attrezzature dall'auto per cercare di arrivare per primi e scegliere le
postazioni migliori nella piana. Scende
un tipo e chiede: "sapete se c'è già Loris?" ... basito rispondo,
sono io! Si
presenta, è il Dr. Armando Piccinini, ittiologo che lavora presso
l'università di Parma, ed é assieme ad altri tre colleghi per studiare le
cheppie in risalita. Era
stato avvertito della nostra presenza sul fiume da Loris Cristoni,
un grande della pesca a mosca alle cheppie di Modena con cui mi ero sentito in
mattinata e che purtroppo per impegni lavorativi non aveva potuto essere dei
nostri. Armando
è diventato molto noto - oltre per la sua professione di ittiologo - anche per
le sue immersioni in Taro a documentare la fauna ittica, cheppie e siluri in
particolare... ma di questo ne parleremo in un prossimo articolo. E' anche un
rappresentante I.G.F.A. (www.igfa.org) per
l'Italia. Assieme a lui c'è uno studioso americano di nome Stephen Sabatino (dell' università di New York, che attualmente lavora in Portogallo), il prof. Francesco Nonnis Marzano (Presidente della Associazione Italiana ittiologi) e la d.ssa Elena Palanti, entrambi del Dipartimento di Biologia Evolutiva dell’Università di Parma. In mattinata erano stati già nel fiume Ombrone, a Grosseto, in cerca di cheppie sul versante tirrenico, ma non avevano preso nulla causa l'alto livello di quelle acque, causato dalle recenti piogge.
Stephen
era già stato nei mesi scorsi in Portogallo ed in Croazia, proprio per studiare
le varie popolazioni di cheppia presenti in Europa e raccogliere campioni per le
analisi genetiche. Adesso era alla ricerca di cheppie provenienti dalla penisola
italiana. Mi
chiede se possiamo pescargli qualche esemplare di cheppia in modo da agevolare i
loro studi, per effettuare le analisi sul loro DNA. Mi
presenta all'americano come "professional fisherman" e mi si raggela
il sangue, temendo dopo questa quantomeno esagerata affermazione di fare una
figura barbina, mi tocco virtualmente i gioielli di famiglia, perché con una
presentazione simile dovrei come minimo fare una bella figura e quindi...
catturare per forza! Noi
andiamo verso il fiume e loro si attardano a scaricare tutte le attrezzature;
appena iniziamo a lanciare incredibilmente io e Giorgio cominciamo ad agganciare
cheppie subito; facciamo una serie di sei o sette pesci a testa, praticamente
uno a lancio e tutti di ottima taglia, con esemplari di cheppie femmine
abbondantemente sopra al chilogrammo. Però
i nostri studiosi, che abbiamo lasciato vicino alla loro auto ad un centinaio di
metri dal posto scelto per i nostri primi lanci non arrivano e ci guardiamo
sconsolati temendo che l'euforia iniziale dei pesci si esaurisca. Finalmente
arrivano, pieni di attrezzature e già con i wader indossati, ma le catture per
fortuna nostra e loro... continuano! Quando
dopo la lotta le portiamo vicine, iniziano a prenderle con i guadini, poi le
portano a riva per prelevare un piccolo pezzettino di pinna e rilasciarle
prontamente dopo le foto di rito. Quel piccolo pezzettino prelevato sarà
importantissimo per avere importanti informazioni riguardo a questa specie,
ancora poco studiata. Giorgio
smette di prenderle a ripetizione ma io cambiando solamente la taglia degli
ondulanti in piombo self made "cheppianetor" e la loro colorazione,
passando da quella olografica classica ideata da Gianni Burani a
quella con brillantini incollati con il sistema insegnatomi da Emanuele
Paolucci (Cepi 2 nel forum), inanello catture su catture rendendo
davvero felici gli studiosi. Nel
frattempo arrivano nella nostra piana anche due pescatori a mosca, ma con i loro
streamer non catturano tantissimo, mentre io proseguo nelle catture in modo fin
troppo continuo, quasi irrazionale, mah... forse merito della fortuna che quando
ci assiste non guasta mai e sicuramente gran merito è da attribuire alle esche
in piombo, utilizzate solamente da noi... è indubbiamente una fortuna che una
simile attività dei clupeidi sia in corso proprio in questo momento, che mai
come stavolta, arriva al momento giusto! Aggiungo
anche il nostro modo di recuperare le esche, fuori dai canoni classici della
pesca a spinning, quella scritta per decenni sulle riviste di pesca e che
vorrebbe le esche recuperate a velocità supersonica a galla nelle piane e nei
correntoni; in realtà tale tipologia di recupero va bene solamente quando il
branco è in fase di risalita ed in forte attività. Noi invece lanciamo leggermente a monte, lasciamo derivare l'esca in piombo, seguendola con la canna per alcune decine di metri finché la stessa non arriva al fondale e poi immergendo la canna completamente in acqua, a volte quasi fino al manico, iniziamo un lento recupero controcorrente, scegliendo accuratamente il percorso che - per essere davvero efficace - deve essere effettuato preferibilmente nel corridoio subacqueo che delimita il filo della corrente tra il vivo ed il morto. A
volte basta un lento recupero lineare, altre volte occorrono accelerazioni
repentine verso l'alto per costringere la cheppia che magari si limitava a
seguire l'esca a decidersi di ghermirla repentinamente... altre volte dobbiamo
far compiere all'esca una curva verso il termine della passata che fa
contemporaneamente anche risalire l'esca... insomma al recupero consigliato,
bisogna poi aggiungere le variabili che i pesci gradiscono in quel preciso
momento. Di sicuro questa tecnica permette l'aggancio degli esemplari migliori, di quelle grosse femmine piene di uova che fisiologicamente non riescono a stare per molto tempo negli strati alti dell'acqua e preferiscono per gran parte del loro tempo sostare dietro ai grossi massi, nelle buche e negli avvallamenti, a lato dei correntoni. Stephen
mi si mette dietro con il guadino ed io scambio con lui le sole tre parole in
inglese che so, ed ad ogni ferrata in suo onore urlo "YES" ed anche
lui mi sembra si diverta molto. Alla
fine ci scambiamo anche un "cinque" ed altrettanto faccio con Elena,
l'unica donna del gruppo, che munita anch'essa di wader in neoprene, prima mi
sbaglia ripetutamente con il guadino forse la cheppia più grossa della
giornata, ma poi dopo che le ho spiegato l'uso come fare ... si riscatta e
finalmente anche lei riesce a salpare un esemplare da portare in zona analisi Tutte
le cheppie catturate vengono liberate, dopo le fotografie di rito ed il prelievo
del piccolo pezzettino di pinna. Dopo
un paio d'ore il gruppo dei pescatori nella piana aumenta e gli studiosi
appagati, ci salutano, ci scambiamo le mail e ci facciamo la promessa di uno
scambio di fotografie e persino la promessa da Armando (poi puntualmente
mantenuta), di venire a Modena a fare una serata sulla cheppia, con il nostro
club, lo S.C.I. ed il club di moschisti, dove lui riscuoterà molto successo
anche con le sue ormai famose immagini subacquee dei pesci. Io
e Giorgio continuiamo a prendere pesci, ma poi inevitabilmente le abboccate
diminuiscono poiché quella piana non presentava cheppie in risalita ma
solamente stanziali che aspettavano il momento giusto di luna e temperatura
dell'acqua per la frega. E' stato allora che hanno fatto la parte del leone i moschisti, che cambiando colore degli streamer riuscivano ogni tanto a d avere ragione di qualcuna. A
fine giornata decidiamo allora di spostarci più a valle; dove ero io non ho
visto alcun attacco, anche perché l'acqua era molto più torbida, mentre
Giorgio che pescava duecento metri più giù di me in un punto dove c'era un
grosso correntone, ha assistito ad inseguimenti di cheppie di due kg ed oltre! Ne ha prese però solamente tre di piccola taglia; dopo nello stesso punto ci ho provato anch'io prendendo solamente un piccolo maschio ed un aspio piccolotto ma estremamente battagliero, caduto su un cheppianetor della misura più piccola che avevo costruito (e che rifarò sicuramente perché oggi ha reso davvero tantissimo). E'
stata una giornata davvero divertente, e tornando a casa in auto, ci siamo
rallegrati a lungo nell'avere aiutato gli ittiologi a fare il loro
indispensabile lavoro di monitoraggio e di conoscenza dell'ecosistema
fluviale... altro che incontrare bracconieri, quello sì che dovrebbe essere un
appuntamento a cui vorremmo assistere più spesso! Ovviamente
la fortunata occasione dell'incontro con gli ittiologi dell'università di Parma
non resterà un caso sporadico, poiché ci siamo ripromessi di rivederci a breve
per provare anche a catturare gli agoni nei laghi del nord Italia, con l'aiuto
dei soci del nostro club che la praticano come Sergio (Kabeda) sul
lago di Como e Claudio (Cobra) in quello di Garda... ma questa
avventura ve le racconteremo meglio in un altro articolo. Alla
prossima.... e buona permanenza su questo sito! Loris
Ferrari ------------------------- Dr.
Armando Piccinini Il
progetto cheppia:
Prima di tutto un grande ringraziamento a Loris e Giorgio per la loro
disponibilità, entusiasmo e professionalità nell’aiutarci a catturare gli
esemplari di cheppia del fiume Taro, vale a dire di un corso d’acqua
Adriatico. Stephen Sabatino, americano, è impegnato in un progetto di studio
riguardo alle caratteristiche genetiche delle cheppie che vivono nell’Oceano
Atlantico e nel Mar Mediterraneo. Lo scopo è quello di chiarire se esistono
popolazioni isolate, fenomeni di homing (migrazioni riproduttive sempre negli
stessi fiumi) e per valutare lo stato di conservazione delle cheppie (Alosa alosa e Alosa fallax). Nel Nord Europa esistono, infatti, due
specie di cheppia (alosa e fallax) che
spesso danno origine anche ad ibridi. Il lavoro svolto in Italia porterà invece
a capire meglio gli spostamenti di questa specie e se esistono differenze tra le
Alosa fallax del Tirreno e
dell’Adriatico, vale a dire tra i due versanti della penisola. Inoltre i dati
raccolti potranno spiegare l’origine dell’agone (Alosa fallax lacustris) che è stata, insieme a Loris e Giorgio, la
seconda tappa della nostra spedizione in Italia. Purtroppo in molti altri paesi
europei l’attenzione per questa specie è molto maggiore che in Italia, a tal
punto che la comunità Europea ha finanziato la reintroduzione della cheppia nel
fiume Reno, a distanza di oltre 40 anni dalla sua scomparsa a causa della pesca
eccessiva nel periodo riproduttivo. L’Italia
con i suoi tanti fiumi, impiegati dalle Cheppie per la riproduzione, è ed era
un luogo speciale per questa specie, che si vorrebbe sempre più tutelata in
futuro. Un
saluto a Loris, Giorgio e... alla prossima avventura. Dr.
Armando Piccinini
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